SCUOLA DI ITALIANO
(testimonianza di un Volontario in fondo alla pagina)
La scuola di italiano è un’opportunità offerta ad alcuni per imparare a leggere e scrivere la nostra lingua, mentre per altri la possibilità di prepararsi agli esami per la licenza scolastica.
Iniziata nel 1997 in collaborazione con l’Amministrazione del Comune di Dalmine, che ha sempre messo a disposizione un locale per le lezioni del mattino e le aule di una delle due scuole medie per le lezioni della sera, favorisce percorsi di inclusione e cittadinanza attiva, strumento fondamentale per cominciare a dare voce ai bisogni e alle difficoltà.
Scuola di alfabetizzazione per donne e uomini stranieri sopra i 16 anni:
4 mattine alla settimana: lunedì, martedì, mercoledì e giovedì dalle ore 9,30 alle ore 11 (anche nel periodo estivo), 2 sere alla settimana martedì e giovedì dalle ore 19 alle ore 20,30 (durante il calendario scolastico).
In entrambi i corsi non è previsto il servizio di babysitteraggio. I corsi sono tenuti, complessivamente, da 38 volontari.
Corsi per il conseguimento del diploma di licenza media e dell’attestato A2 in collaborazione con il CPIA di Treviglio.
Il corso del mattino, che è nato nel 2016 per richiedenti asilo del progetto SPRAR, ma poi aperto anche ad altri stranieri prevalentemente donne, si avvale della collaborazione di 3-4 volontari al giorno e suddivide gli studenti in tre livelli:
-livello 0: analfabeti senza conoscenza della lingua italiana ;
-livello 1: alfabeti con scarsa conoscenza della lingua italiana;
-livello 2: alfabeti con buona conoscenza della lingua italiana.
Il corso della sera, si avvale della collaborazione di 10-12 volontari sia al martedì che al giovedì e suddivide gli studenti in 4 livelli più il corso A2:
-livello 0: analfabeti senza conoscenza della lingua italiana ;
-livello 1: alfabeti con scarsa conoscenza della lingua italiana;
-livello 2: alfabeti con sufficiente conoscenza della lingua italiana;
-livello 3: alfabeti con buona conoscenza della lingua italiana;
livello 4: alfabeti altamente scolarizzati con sufficiente o buona conoscenza della lingua italiana;
classe A2: corso di recupero per studenti che non hanno superato il test A2 del CPIA e che necessitano dell’attestato per il permesso di soggiorno (questi studenti verranno iscritti a fine anno scolastico all’esame presso il CPIA di Treviglio nella sede di Ponte San Pietro).
Per offrire un momento di formazione ai volontari, abbiamo organizzato un corso, per l’insegnamento della lingua italiana a migranti adulti, che si snoderà in quattro incontri durante il mese di ottobre e novembre e sarà tenuto dalla Cooperativa Ruah.
>> testimonianza di un Volontario
“Migranti: persone che decidono di spostarsi liberamente senza l’intervento di un fattore esterno”…questo è ciò che può capitare di leggere in internet quando si naviga
alla ricerca di notizie inerenti l’immigrazione.
Curiosa questa definizione, soprattutto se penso a Bah, Mawa, Glory, Salamatou
ed agli altri ragazzi che frequentano la nostra associazione Il Porto.
Sollecitati, difficilmente parlano del loro passato,
a volte manifestano il loro pensiero riguardo al presente o al futuro,
ma il più delle volte rispondono con un’alzata di spalle;
come biasimarli se si pensa alla situazione in cui si trovano da quando sono arrivati in Italia.
A Il Porto si incontrano persone, per lo più giovani, che fuggono dalla guerra, dalla fame,
dalle persecuzioni politiche, dall’intolleranza religiose, ma soprattutto fuggono da una mancanza di futuro.
Il loro futuro lo cercano in Europa, in un’Europa tutt’altro che felice, sempre più chiusa in se stessa, timorosa di perdere il benessere acquisito, sempre più ladra di umanità.
Sono partiti alla ricerca dell’oasi felice;
sanno fin dall’inizio che rischiano la fatica, la fame, le botte dei trafficanti, la morte in mare,
ma la speranza è più della paura, è speranza oltre la speranza, è una scelta per la vita.
Brevi accenni di storie personali svelano la grande organizzazione di scafisti del Mediterraneo,
il dramma di estenuanti viaggi nel deserto, l’esistenza dei lager in Libia
dove la violenza dei carcerieri è indescrivibile e la corruzione della di polizia locale
spesso è parte integrante delle organizzazioni criminali,
ma soprattutto svelano il dramma di chi ha visto morire fratelli, figli, amici…
inghiottiti dalle acque del mare…
quel mare scelto come ultima speranza.
E poi …. un’ amara sorpresa li attende al loro arrivo, il sogno di colpo svanisce
e scoprono che la meta è ancora lontana; si ritrovano in un limbo di attese infinite, condannati ancora una volta a vivere nell’incertezza e con il costante pensiero rivolto al “documento” che non arriva.
A Il Porto si incontrano anche coloro che il documento lo posseggono già,
sono persone che non scappano dalla guerra o dalla persecuzione
ma semplicemente scappano dalla libertà, dalla libertà’ di morire di fame;
sono uomini e donne alla ricerca della propria dignità, del diritto di avere diritti,
hanno tutti storie diverse, ma terribilmente uguali nel loro destino.
Qualunque sia il motivo che li ha spinti fuori dalla loro terra,
sono persone a cui è dovuto rispetto, quel rispetto che, partendo dalla coscienza dei diritti, porta al riconoscimento dei doveri verso gli altri; sono persone che meritano di essere scoperte ed ascoltate.
Con i ragazzi de Il Porto di scoperte se ne fanno tante: parlare con Glory, ad esempio,
ti fa scoprire che esiste la rete, la rete di solidarietà tra disperati che non ti lascia mai veramente solo e se Mawa afferma che “mamma é chi si prende cura di te” Bah ti lascia letteralmente sconcertato quando ti dice che “fratello è chiunque abbia bisogno di te”.
Ma può addirittura capitare di riscoprire se stesso: con Salamatou io ho riscoperto i miei genitori, la loro sofferenza, il loro coraggio, il loro sacrificio per amore dei figli,
mentre in Adams, il ragazzino marocchino che frequenta lo spazio compiti dell’oratorio,
rivedo il mio imbarazzo, a volte vergogna, di quando dovevo parlare dei miei genitori emigrati ed analfabeti.
QQuello che, però, i ragazzi de Il Porto non sanno ancora è che una volta diventati “Migranti” lo si è per sempre : lo sa bene Gabriele che dopo 60 anni passati all’estero si sente ancora straniero nel paese che lo accoglie e non si riconosce più in quello di origine;
lo sa bene suo nipote Luca, che è nato e vive all’estero, che non sa una parole di Italiano
ma si sente inequivocabilmente “Italiano”;
lo so bene io che sono nato all’estero e vivo in Italia, non mi sento Italiano ma cittadino del mondo.
Essere cittadino del mondo ti porta naturalmente a diventare un “PCAP” ovvero Persona Che Aiuta Persone: è bello vedere Mawa, giovane mamma ivoriana e mussulmana, incitare Glory, nigeriana e cristiana, a non scoraggiarsi di fronte ai pochi progressi in italiano oppure scoprire che Bah, giovane ragazzo del Niger, salta le lezioni per aiutare suo “fratello” del Mali a trovare un posto dove dormire perché diventato invisibile; ma quello che ti riempie il cuore di speranza è scoprire che ad inventare il termine PCAP siano stati i ragazzi della 1° media della scuola Camozzi di Dalmine.
Questi giovani, forse complice il fatto che la loro aula di sera si anima di gente colorata
che non possiede nulla ma si sente ricca, che è afflitta da mille problemi ma nonostante tutto è allegra, hanno capito che l’abbattimento delle frontiere, la convivenza pacifica ed l’aiuto reciproco rappresentano la vera sfida per il futuro
e noi volontari de Il Porto non possiamo che seguire il consiglio di Don Gallo e “continuare ad essere trafficanti di sogni”.