IL PORTO ONLUS ACCOGLIENZA IMMIGRATI | Io, albanese, esprimo affetto per i bergamaschi
l'associazione il porto onlus, ILPORTO-ONLUS, IL PORTO ONLUS, prevede percorsi accoglienza e integrazione a favore di immigrati presenti sul territorio di Ponte san pietro , mapello, dalmine e provincia di bergamo, referente Marco Ravasio
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Io, albanese, esprimo affetto per i bergamaschi

 

Nel 1996 arrivai in Italia, pensavo di conoscere bene questo Paese.

Me ne aveva parlato mio padre, quando per la prima volta nel 1939 ha visto i soldati italiani arrivati in Albania con una missione poco piacevole per il popolo albanese. Eravamo in guerra, i militari italiani sono venuti per invaderci. Ed è chiaro che i ricordi di mio padre, un ragazzo di 13 anni, non erano felici. Poi durante la dittatura in Albania, che durò dal 1945 al 1991, verso gli invasori non si è parlato altro che male, dicendo che erano brutti e cattivi. Ogni tanto la mia nonna materna, l’unica che ho potuto conoscere, mi raccontava però anche qualcos’altro. Mi raccontava quando suo marito andava e veniva dall’Italia per comprare prodotti di qualità. Mi raccontava che dall’altra parte del mare, in Italia le persone erano brave, educate e gentili. Il nonno era sempre ben voluto e oltre alla merce tornava con dei regali offerti da amici italiani per noi. Io ero molto curioso di conoscere questo Paese che sulla mappa mi sembrava uno stivale, poi ho scoperto che per tutti ero uno stivale. Purtroppo avevo solo 8 anni e non è facile per un bambino di quella età vedere oltre le forme. Comunque ero curioso, volevo andarci e vedere con i miei occhi com’era l’Italia, ma purtroppo non era possibile. L’Albania era un Paese sotto dittatura e con i confini serrati, che non permetteva a nessuno né di entrare, né di uscire.

Come sempre quando le cose ti vengono vietate senza un perché ragionevole, allora ti comporti al contrario. Abbiamo iniziato a guardare la TV italiana di nascosto; con gli amici parlavamo quelle poche parole che conoscevamo in italiano per migliorare quest’idioma molto bello; cantavamo le canzoni, ma con la mente perché era meglio non farsi sentire ed essere così denunciato per “propaganda e agitazione contro il regime”. Sì, eravamo giovani, ma dovevamo stare attenti a non sbagliare. Poi quando tutto finì con la caduta della dittatura nel 1991, tutto era diverso: potevamo ascoltare la musica, parlare senza paura e fare dei corsi di lingua italiana per chi ne aveva voglia e non solamente in alcune classi di poche scuole.

Nel 1996 arrivai a Trieste, dopo 36 ore di navigazione. Il traghetto ha dovuto affrontare il mare molto mosso d’inverno e la bora, questo vento molto forte che solo dopo molti anni ho scoperto cos’era. Oltre la stanchezza, mi ricordo le luci di Trieste, la fila per uscire e lo sguardo un po’ sospettoso della Polizia di Frontiera. Non avevamo fatto un bella figura noi albanesi. No, per niente. Sentivo però di non essere quello che gli altri credevano di vedere in me. E come me, tanti altri. Ho immaginato che sarebbe stata la diffidenza dei primi momenti, ma anche in seguito è stato molto difficile cambiare idea alle persone. Bisognava lavorare duro, con pazienza e con il tempo cambiare poco alla volta le cose.

Fu così che le cose cominciarono davvero a cambiare. Proprio quando ognuno di noi ha messo a disposizione le sue capacità per il Paese. La gente ci vedeva per quello che noi eravamo e per quello che eravamo capaci di fare. Ha smesso così un po’ alla volta di guardarci con sospetto. Nel frattempo le collaborazioni economiche, politiche, sociali tra Italia e Albania si sono intensificate. Abbiamo scoperto di essere due popoli amici, di avere tanto in comune, ma di non avere comunicato molto a livello sociale, tra le due comunità. Furono i primi talentuosi ad aprire la strada alle persone normali. Sempre quel mezzo famoso chiamato TV aiutò e aprì la strada verso la conoscenza reciproca degli autoctoni e delle comunità albanesi sparse per l’Italia. In questo clima di fiducia reciproca aumentarono molti i contatti e l’Albania e gli albanesi non erano più li stessi di qualche anno fa. Fu molto emozionante, quando allo stadio di Genova gremito di tifosi albanesi e pochi italiani, si sentì cantare forte l’Inno di Mameli, come se fosse quello albanese. Sì, gli albanesi l’hanno cantato a squarciagola. Ormai è anche il nostro Inno, ma non solo, certo non dimentichiamo anche “Himni i Flamurit”.

Ma come si sa nella vita, ci sono dei momenti inaspettati, che ti cambiano tutto, travolgono vite, distruggono case, persone e famiglie intere. L’Italia lo conosce molto bene, è il terremoto un nemico che ti colpisce alle spalle ed è imprevisto. Era novembre e questo nemico ha colpito l’Albania, facendo più di 50 vittime, tante case e famiglie distrutte. La notizia è arrivata in Italia e Protezione Civile, Caritas, Vigili del Fuoco e tanti volontari sono partiti dall’Italia per dare una mano ai loro vicini di casa che avevano bisogno. Non hanno pensato due volte, non hanno pensato al rischio, ma la cosa che hanno pensato è stato salvare più vite possibili, perché per tutti il bene più prezioso è la vita. Non abbiamo mai smesso di ringraziare e mai basteranno i ringraziamenti per ciò che Italia ha fatto in quei giorni. Ma ecco che la vita si dimostra crudele e il battito d’ali di una farfalla in Brasile causa un uragano a New York, come dice un proverbio di origine sconosciuta. Sì, proprio così, una provincia molto lontana da noi diventa per noi la capitale mondiale del virus. Nessuno o magari pochi conoscevano Wuhan, ma ormai tutti ne parlano e noi abbiamo pensato che forse è lontano e potevamo non essere nemmeno contagiati. Purtroppo la “farfalla” inconsciamente ha causato l’uragano e quest’ultimo ha colpito l’Italia, ma soprattutto la Lombardia il cuore economico di questo Paese.

Dall’Albania le chiamate si intensificano, amici, parenti tutti molto preoccupati chiedono come stiamo, come stanno le nostre famiglie, i nostri amici, i nostri fratelli bergamaschi. Si cerca come sempre di tranquillizzarli e dare qualche consiglio per evitare che anche in Albania si diffonda il virus. Si cerca di andare avanti con la vita quotidiana, con gli impegni familiari e con i bambini che non vanno più a scuola. Ogni giorno il bilancio dei contagi aumenta e aumenta soprattutto quello dei morti e con questo aumenta anche la preoccupazione in Albania. Le prime TV albanesi cercano di dare la notizia e cercano di contattare più albanesi possibili che vivono qui a Bergamo. Attraverso la loro esperienza si cerca di sensibilizzare chi vive nel paese natale. Purtroppo non è bastato, anche là il virus galoppa e ci sono stati i casi di morte, di terapia intensiva e di contagiati. Mentre affrontano il nemico invisibile, in Italia la situazione è ormai fuori controllo. C’è bisogno di tutto, di medicinali, ossigeno, mascherine e soprattutto medici e infermieri.

La notizia questa volta giunge al piccolo Paese o meglio il Paese delle aquile, l’Albania. Sicuramente non si può restare indifferenti, bisogna agire in fretta. Il Paese delle Aquile manda in aiuto una squadra di medici e infermieri per aiutare l’Italia e soprattutto Bergamo.

Mai come ora mi sono sentito orgoglioso di essere albanese e mai come ora mi sono sentito tanto orgoglioso come bergamasco. Devo tanto a questa terra perché mi ha accolto, mi ha dato la possibilità di migliorare la vita, di creare famiglia. Devo tanto anche ai cittadini di Ponte S. Pietro che mi hanno voluto bene e mi hanno dato fiducia facendomi eleggere come consigliere comunale. Vorrei esprimere a tutti i bergamaschi tutto il mio affetto, con la fiducia che ne usciremo da questa situazione. Ai cittadini di Ponte vorrei dire di fare quello che sanno fare bene: essere una comunità unita e di continuare ad aiutarsi a vicenda, senza lasciare indietro nessuno, che sia questo italiano o no.

Con affetto Mirvjen Bedini

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